Domani, venerdì 13 marzo, con inizio alle ore 11, nella Sala
Conferenze del Centro Comunale d’Arte e Cultura Exmà, a Cagliari, sarà presentato
il romanzo/guida Sotto le ali del vento, scritto da Luigi Dal Cin, illustrato da Pia
Valentinis e Ignazio Fulghesu e ambientato nella città di Cagliari. Edito da Lapis Edizioni di Roma, il volume, che dal 25
febbraio è distribuito nelle librerie di tutta Italia, è prodotto dal Consorzio
Camù con il patrocinio del Comune di Cagliari nell’ambito delle attività per
Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015.
Interverranno: la vice presidente del Consorzio Camù Francesca Spissu, il
direttore generale della Lapis Edizioni Giovanni Sammicheli, lo scrittore Luigi
Dal Cin, gli illustratori Pia Valentinis e Ignazio Fulghesu, la direttrice
della Pinacoteca di Stato Marcella Serreli e gli assessori comunali alla
cultura Enrica Puggioni e al turismo Barbara Argiolas.
Piccoli appunti Sotto le ali del vento
di Luigi Dal Cin
Dopo
aver raccontato a bambini e ragazzi le città di Ferrara, Bolzano, Rovigo, le ville del
Palladio, i luoghi italiani patrimonio dell’UNESCO, le Mostre di Palazzo dei
Diamanti a Ferrara e quelle di Palazzo Marino a Milano, i Musei Civici di
Venezia e la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, incoraggiato da Camù questa volta ho
voluto scrivere un libro in grado di avvicinare i ragazzi al prezioso
patrimonio artistico della città di Cagliari. E come nelle altre occasioni ho utilizzato
uno strumento a volte atipico per l’arte ma ben frequentato dai bambini, uno
strumento potentissimo: la narrazione.
La narrazione è stata, per questo libro, lo strumento
cardine per poter raccontare lo straordinario patrimonio culturale della città
di Cagliari e renderlo in questo modo accattivante per bambini e ragazzi.
Sono profondamente convinto, infatti, che al pubblico dei
giovani lettori interessino sì le informazioni, ma ancora di più un’avventura
espressa con intrecci e personaggi avvincenti, e che solo l’utilizzo di una
convincente e ben strutturata narrazione consenta di trasmettere – con un
coinvolgimento non solo intellettivo, ma anche emotivo – informazioni storiche,
artistiche e culturali in modo davvero efficace.
Si tratta, tra l’altro, di un’esperienza che per un ragazzo
può essere straordinariamente intensa ed importante: credo infatti esista un
diritto alla bellezza per ogni persona che si sta formando, da esercitarsi con
forza sempre maggiore di fronte alle fantasie preconfezionate e stereotipate in
cui siamo immersi.
Così come credo sia importante che i nostri bambini possano divertirsi
a giocare non solo con degli oggetti, ma anche con degli spazi, con le opere
d’arte, con i musei, dentro i musei, insomma: con la bellezza di una città.
‘Sotto le ali del vento’ contiene dunque informazioni ma
soprattutto una storia con veri personaggi e colpi di scena in grado di
affascinare il lettore in un percorso di conoscenza della città. Verifico ogni
giorno, nelle scuole di tutta Italia, come la buona narrazione sia il punto di
minor resistenza nell’apprendimento di bambini e ragazzi, perché è sempre in
grado di offrire molto più di quanto ci saremmo immaginati, ed è questo ciò di
cui i giovani lettori hanno diritto. Credo che il fascino di una narrazione sia
la porta giusta per la conoscenza e il gioco immaginativo dei bambini: la
conoscenza è affascinante, ma anche il fascino e il divertimento sono
conoscenza. E una volta che si è inventato il gioco, il gioco crea inevitabilmente
partecipazione, la partecipazione crea sempre familiarità. Ed è proprio la
familiarità l’elemento che a volte manca nei luoghi della cultura, specie nella
loro fruizione da parte dei bambini.
Per prima cosa, quindi, ho studiato la storia e l’arte di
Cagliari, poi ho visitato la città sia da solo sia accompagnato da personalità
di rilievo della cultura cagliaritana che Camù mi ha fatto conoscere. È stata
un’esperienza stupenda che mi ha portato a Cagliari in diverse occasioni, in
diversi momenti dell’anno: mi sono stati regalati numerosi punti di vista della
città, tutti ricchissimi e tutti differenti, pur accomunati dalle stesse radici
di chi è nato qui, e mi è stato chiesto di mescolarli con il mio punto di vista
esterno, attento allo sguardo dei bambini.
Sì, perché quando visitavo Cagliari, mi inginocchiavo per osservare
tutto ad altezza-bambino per cogliere così cosa ci fosse d’interessante per
loro, e in qualche museo qualche custode incuriosito mi ha anche chiesto cosa
stessi facendo.
Il primo fatto che mi ha colpito di Cagliari è la sua
complessa stratificazione storica e architettonica, che nel romanzo faccio
esprimere così al papà del gabbiano Elia:
“È arrivato il
momento, figlio mio, che tu conosca una delle caratteristiche che fanno di
Cagliari una città unica al mondo... su questo suolo, ci diceva sempre nonno
Gavino Gabbiano, hanno trovato casa quasi tutti i grandi popoli del
Mediterraneo, e ciascuno di loro ha portato qui la propria cultura. È per
questo che Cagliari, ancora di più rispetto alle altre città italiane, è ricca
di una storia straordinaria e brilla di una bellezza multiforme: ogni popolo
differente che arrivava aggiungeva infatti la propria cultura e la propria arte
a quelle che già c’erano, epoca su epoca, strato su strato”.
E poi, passeggiando
per le strade e le piazze, ritrovavo tutti gli autori che l’hanno raccontata
prima di me con i loro aggettivi: città bianca, verticale, africana, sconfinata,
meravigliosa, ripida, tutta pezzetti e mozziconi, briosa, aperta, diversa da
qualsiasi altra città, altro dalla Sardegna aspra e pietrosa...
Eppure, ad ogni
visita, mi rendevo conto che ciò che più colpiva il mio animo erano i suoi
colori luminosi, riflessi del cielo e del mare, e il vento che, per me,
ferrarese abituato alle nebbie lente, era ogni volta una festa.
E così riconoscevo
Cagliari come la città del vento, un vento che rinfresca, che spazza via ogni
nuvola e porta luci e colori così nitidi che il cielo sembra una lastra di
ghiaccio. Oppure un vento umido che affatica, rallenta i pensieri e fa piovere
polvere rossa.
Era stata Cornelia Gracchia a svegliarli di prima
mattina, scalpitante di scoprire nuovi indizi sulla vera origine di quel vento
che a volte soffiava da nord–ovest, e allora si chiamava Maestrale, a volte da
sud, e allora si chiamava Levante, Libeccio o Scirocco
Tutti gli uccelli di Cagliari conoscevano bene la
differenza.
Il Maestrale ripuliva le penne delle ali, le strade della
città, gli alberi e i cespugli, portava con sé luci e colori nitidissimi,
rinfrescava e rendeva l’aria pura e profumata, di notte faceva rinascere dalla
foschia le stelle che allora potevi contare una ad una.
Il Levante, il Libeccio e lo Scirocco, invece, erano
venti caldi, morbidi, sonnacchiosi. Sapevano di mare, di sale e di nuvole.
Profumavano di spezie e di Africa, ed erano dispettosi perché facevano piovere
la sabbia dal cielo sporcando di rosso le macchine parcheggiate e appena
lavate.
E ho voluto cercare
di scoprire perché l’influenza del vento è così forte in questa città.
Ma chi poteva
aiutarmi in questa avventura, se non un volatile che vive del vento? Un
volatile che ha la stessa sagoma della Sella del Diavolo, da dove il romanzo
prende il via: un gabbiano.
“Zio Capitano?” disse Elia annusando il profumo azzurro
delle Jacarande portato dal vento.
“Dimmi, mio giovane pullo”.
“Zio Capitano, da dove viene questo vento?”.
“Oggi viene da terra: è Maestrale” rispose zio Capitano
che aveva alzato il becco per annusare meglio la direzione del vento: il cielo
era di un azzurro limpido e luminoso, come fosse una lastra di ghiaccio.
“Sì, questo lo avevo già capito, ma io vorrei tanto
sapere da dove viene! Soltanto che nessuno di voi gabbiani adulti me l’ha mai
saputo spiegare davvero...”.
“Cavoletti, cosa intendi dire?” chiese zio Capitano
infilandosi la pipa in becco.
“Be’ – continuò Elia fissando gli occhi dello zio – tutti
noi gabbiani possiamo alzarci in volo solo grazie al vento. Il vento è l’amico
più importante che abbiamo: è magico più di ogni altra cosa che c’è! Se non ci
fosse lui a sostenerci le ali, tutti noi gabbiani saremmo solo degli uccelli
goffi che magari sanno anche camminare ma che non si alzano in volo... saremmo
dei polli!”.
Papà sorrise.
“Zio Capitano, io sto imparando in questi giorni a
giocare con il vento... – continuò Elia – grazie a lui non devo stare più a
terra come quand’ero piccolo piccolo, ma posso volare! Sto imparando a
lasciarmi accompagnare da lui sempre più in alto nel cielo: basta che apra le
ali e il vento mi solleva. E da lassù mi appare tutto così grandioso, zio, che
mi sento colmo di bellezza e di libertà. Provo un senso di pace e di fiducia,
di forza, di armonia, di serenità...”.
Mamma e papà gli accarezzarono il capo.
“Poi magari il vento lassù cambia direzione – continuò
Elia – e allora è come se volesse dirmi che tutto è sempre in movimento. Allora
è il momento di lanciarmi in picchiata, ed è tutta una vertigine, cavoletti!”.
“Cavoletti!” sorrise zio Capitano.
“Alla Sella del Diavolo, ad
esempio, sento il respiro del vento che diventa un voce quando attraversa le
fessure delle rocce. Allora mi sembra che il vento canti una di quelle melodie
dei cori a tenore delle feste degli uomini qui in Sardegna. E quella voce, zio,
a me sembra provenire da un mondo antichissimo, un mondo mitico e meraviglioso,
che sa parlare direttamente al mio cuore. E così mi viene da gridare!”.
“Da gridare!” ripeté zio Capitano accarezzandogli, anche
lui, il capo.
“Allora mi chiedo, zio: se il
vento è un amico così importante nella vita di noi uccelli, se il vento è così
essenziale per la nostra libertà e la nostra felicità, com’è possibile che non
sappiamo da dove viene? Chi lo crea per noi? Non credo sia solo una questione
di alta e bassa pressione che fa muovere l’aria: penso che tutto questo spieghi
solo una parte della faccenda. Ci dev’essere di più! E io lo voglio scoprire!
Zio: credo proprio ci sia un’avventura che mi sta aspettando!”.
Zio Capitano socchiuse ancora
le fessure degli occhi come a fissare qualcosa di lontano e infatti rivide,
lontano lontano, nella sua giovinezza, la stessa identica domanda che con il
passare del tempo aveva lasciato sfiorire.
“Capperi, Elia, è una domanda
molto bella! – disse Efisia – Ci dev’essere di più riguardo al vento! E di
sicuro c’è un’avventura che ti sta aspettando!”.
“Vieni con me?” le chiese
Elia.
Efisia scrollò le ali:
“Certo!” disse.
Papà, mamma e zio erano
rimasti in silenzio, ma sentivano riaccendersi nel cuore un tipo di gioia
antica.
Un tipo di gioia che non avevano più provato da quando
erano giovani pulli.
E così, seguendo il volo esperto di zio Capitano, il mitico
gabbiano che conosce i sette mari come le sue piume e sa raccontare le più
incredibili Avventure Gabbiane che si siano mai udite alla taverna giù al
porto, il giovane Elia insieme ai suoi amici pennuti si tuffa alla ricerca dell’origine
e del senso di ciò che sorregge le sue ali: quel vento che tiene in movimento
il cielo di Cagliari e lo fa brillare di luce così intensa.
In questo suo viaggio di scoperta Elia incontrerà nuovi
amici e recupererà il senso delle proprie radici, scoprendo anche la vera
storia del mitico nonno Gavino Gabbiano.
Una serie di eventi imprevisti guiderà così il lettore alla
scoperta dei preziosi tesori culturali della città di Cagliari accompagnato da
informazioni diluite nel racconto e da illustrazioni evocative, per creare
un'atmosfera affettiva nuova attorno a grandi tesori che, in Italia, troppo
spesso sono presentati in maniera poco accattivante per il pubblico più giovane.
In
fondo questo romanzo è un invito: un invito agli adulti perché portino i propri
figli e i propri nipoti per le strade, le piazze, i monumenti di Cagliari, per
poterne respirare, insieme a loro, la bellezza e l’armonia: visitando Cagliari
si sperimenta lo straordinario respiro degli spazi, del vento, del Volo
Gabbiano.
E poi, visitandola, ho scoperto che Cagliari è una miniera
di spunti per storie fantastiche se sapremo osservare insieme ai bambini i
particolari delle sue strade, dei suoi monumenti, delle decorazioni, dei
dipinti, delle statue... gustare, come si gusta una zeppola, e poi rubare con
gli occhi ogni particolare per inventare insieme ai bambini le nostre storie...
può essere un gioco divertente che allena adulti e bambini all’osservazione e
alla narrazione.
In fondo, è quello che ho sperimentato anch’io per questo libro.