Scrivila la guerra è un albo strano, sembra una cosa ma poi ti accorgi che non è proprio quella o almeno non solo quella.
Ma vado con ordine: questo albo è stato
voluto dalla Fondazione Stepan Zavrel e finanziato dalla Regione Veneto
nell'ambito delle celebrazioni del centenario della Grande Guerra e in quanto
tale racconta una storia, a misura di bambino, ritagliata nella Storia della
guerra di trincea sul Carso post Caporetto.
L'aver commissionato questo racconto ad
un autore come Luigi Dal Cin e ad un'illustratrice come Simona Mulazzani
ci dice però di una volontà importante, di una scelta editoriale precisa: far
diventare una pubblicazione di natura divulgativa, letteratura.
Questa, d'altra parte è una delle
specialità di Luigi: il narrare per far conoscere; l'assoluta consapevolezza,
perseguita con estremo rigore, che abbiamo un dovere narrativo nei confronti di
bambine e bambine, che ai giovani lettori bisogna RACCONTARE tutto usando gli
strumenti più alti della letteratura.
Cosa accadde nei giorni successivi alla
disfatta di Caporetto è cosa ardua da raccontare, le memorie di guerra non
omettono alcun tipo di violenza, cosa abbia visto e sentito e provato un
bambino negli stessi luoghi, negli stessi giorni, in una casa occupata dalle
truppe nemiche credo che in pochi se lo siano domandati. Luigi ha dato voce a
quel bambino attraverso un racconto che, grazie all'espediente del quaderno
segreto, assume il punto di vista interno, diventa una scrittura autobiografica
e intima capace di dirci quello che raramente osiamo ascoltare: la fame. La
fame prima della paura, addirittura la fame che supera la paura.
Ripenso spesso, quando sento il mio
stomaco brontolare, ad una frase di Primo Levi che, tra le migliaia, mi si è
impressa nel profondo: cito a memoria "chi ha fame per non aver mangiato
due giorni non sa cosa vuol dire avere fame". E' una cosa, questa della
fame, che se ci si pensa davvero c'è da impazzire.
No, non lo sappiamo che cosa vuol dire
avere fame, e speriamo non dovranno mai saperlo i nostri figli. Questo non
toglie che tanti tanti e tanti bambini l'hanno conosciuta e tutt'ora conoscono
questa bestia terribile, di loro, praticamente nessuno racconta. A loro
pochissimi sono in grado di dare voce, la Storia non ci dice dei bambini a casa
con le nonne in attesa dei genitori; la storia non mette a fuoco le piccole
figure fuori fuoco, come le chiama Chiara Carminati,
che a migliaia hanno, anche loro, attraversato la guerra senza alcuno strumento
per poterlo fare.
Man mano che procedevo nella lettura mi
sono sorpresa per l'audacia della narrazione dedicata alla fame. La fame è
protagonista assoluta della storia e d'altra parte chi non combatteva in
trincea aveva questo come nemico principale.
Le illustrazioni di Simona Mulazzani
seguono la narrazione fedelmente ma pacatamente, non esasperano, mostrano
sempre il secondo successivo all'angoscia più profonda. Come la scrittura, le
immagini assumono il punto di vista del bambino e - come la scrittura simula il
modo discrivere di un bambino, con la tipica sintassi paratattica e un po'
ripetitiva - ricordano un po' il modo di disegnare della stessa età.
Noi in casa non avevamo più niente da
mangiare e siamo quasi morti di fame.
Io piangevo, mi veniva da vomitare e mi rotolavo per terra per il gran mal di pancia: "nonna, ho tanta fame" dicevo.
"Fiòl, non ho niente da darti diceva mia nonna. Anche lei non stava più in piedim era pallida e doveva andare sempre in bagno. Allora mia nonna mi ha portato a letto ma io non riuscivo a dormire: "Nonna, ho tanta fame".
"Fiòl, non ho niente da darti" e piageva. Allora mi ha fatto dire le preghiere e mi sono addormentato. Ma poi mi sono svegliato e avevo ancora più fame e avevo paura perchè era tutto buio: "Nonna, ho tanta fame".
"Fiòl, non ho niente da darti" e piangeva sempre più forte. Poi ho sentito che la nonna faceva fatica a respirare per la debolezza.
"Nonna, ho tanta fame" ma la nonna non mi ha risposto. Allora ho pensato che quella notte davvero dovevamo morire, perchè anche un vecchio del paese era morto di fame, e io ho visto quando i soldati tedeschi lo hanno portato giù per le scale vestito elegante, col cappello.
Allora ho pensato che morire bisogna essere eleganti e che potevo dare il cappello del mio papà alla nonna che è buona "Nonna, stanotte moriremo di fame? Se è stanotte, prendilo tu il cappello elegante di mio papà". Mia nonna allora ha ricominciato a piangere e mi ha stretto forte.
Poi non ricordo più niente.
Ma il cappello di mio papà ce l'ho ancora e me lo tengo per quando dovrò morire.
Io piangevo, mi veniva da vomitare e mi rotolavo per terra per il gran mal di pancia: "nonna, ho tanta fame" dicevo.
"Fiòl, non ho niente da darti diceva mia nonna. Anche lei non stava più in piedim era pallida e doveva andare sempre in bagno. Allora mia nonna mi ha portato a letto ma io non riuscivo a dormire: "Nonna, ho tanta fame".
"Fiòl, non ho niente da darti" e piageva. Allora mi ha fatto dire le preghiere e mi sono addormentato. Ma poi mi sono svegliato e avevo ancora più fame e avevo paura perchè era tutto buio: "Nonna, ho tanta fame".
"Fiòl, non ho niente da darti" e piangeva sempre più forte. Poi ho sentito che la nonna faceva fatica a respirare per la debolezza.
"Nonna, ho tanta fame" ma la nonna non mi ha risposto. Allora ho pensato che quella notte davvero dovevamo morire, perchè anche un vecchio del paese era morto di fame, e io ho visto quando i soldati tedeschi lo hanno portato giù per le scale vestito elegante, col cappello.
Allora ho pensato che morire bisogna essere eleganti e che potevo dare il cappello del mio papà alla nonna che è buona "Nonna, stanotte moriremo di fame? Se è stanotte, prendilo tu il cappello elegante di mio papà". Mia nonna allora ha ricominciato a piangere e mi ha stretto forte.
Poi non ricordo più niente.
Ma il cappello di mio papà ce l'ho ancora e me lo tengo per quando dovrò morire.
Ma non la sentite la disperazione di
questa nonna? Ma non vi sentite dentro l'angoscia assoluta al solo pensiero che
questo è stato? Davvero, così è stato. Ma cosa sentono i piccoli stomaci e cosa
vedono i piccoli occhi è cosa a cui gli adulti pensano troppo, troppo,
poco.
E qui arriva la seconda parte di ciò che Scrivila, la guerra è, per come la vedo io.
Il testo di questo albo è, sin dal
titolo, molto esplicito, una autentica e inequivocabile
dichiarazione di poetica.
La guerra bisogna scriverla perché
altrimenti ti resta dentro! Chi l'ha scritta, nelle scritture private
naturalmente, ne è uscito vivo, chi non l'ha saputo fare è morto anche se è
sopravvissuto all'inferno, questo è il messaggio esplicito del libro.
Ma questo, se ci pensiamo bene, è vero
per ogni cosa! E uno scrittore non può non pensarla così, la scrittura: in
maniera salvifica.
Le bambine e i bambini vivono ogni
singola minuscola esperienza con la potenza di una piccola guerra interiore,
dargli l'arma della scrittura vuol dire dargli uno strumento, forse il
migliore, per attraversare la guerra e uscirne vivi, qualunque essa sia. La
penultima pagina, in cui il bambino arriva al presente della narrazione
raccontando come il suo papà e la nonna hanno accolto la lettura di ciò che il
bambino ha trascritto sul suo quaderno, è la gratificazione che accoglie l'atto
della scrittura, il papà dice "Sei stato bravo fiòl a tirare fuori la
guerra e a scriverla sul quaderno". La guerra è uscita e basta, adesso nel
bambino resta il ricordo, certo, ma l'angoscia trova oggettivazione nelle
parole come in nessun'altra cosa, le parole se ne fanno carico e alleggeriscono
lo scrittore, piccolo o grande che sia.
Molti elementi contribuiscono a fare di
quest'albo un prodotto importante che deve trovar posto tra le letture dei
bambini: la lingua che immaginiamo di leggere in dialetto solo per il tocco di
quel "fiòl" che vi allude, la narrazione bambina, il punto di vista
eccentrico e ribassato di testo e immagini, l'inno al potere della scrittura.