3. Il sogno della farfalla: le fiabe
dall'Estremo Oriente1
Cominciai a volare nell’aria come un petalo, felice di essere una farfalla, e senza sapere più nulla di Chuang Tzu.
All’improvviso mi svegliai e allora mi tastai, ecco: ero tornato ad essere proprio Chuang Tzu.
Adesso però io non so più se sono Chuang Tzu che ha sognato di essere una farfalla, o se invece sono una farfalla che sta sognando di essere Chuang Tzu.2
Questo breve racconto tradizionale cinese, qui riportato nella versione di Chuang Tzu, scrittore di scuola taoista, ci spinge a spalancare le porte della fantasia e ad addentrarci nell’immaginario fiabesco dell’Estremo Oriente.
Per Estremo Oriente, in genere, si
intende l’area che comprende Cina, Corea, Giappone e Mongolia: una
superficie geografica di enorme estensione in cui si incontrano
società spesso profondamente differenti ma che, allo stesso tempo,
presentano elementi antropologici e culturali comuni.
E i comuni archetipi che caratterizzano
le fiabe dell’Estremo Oriente appaiono, già alla prima lettura,
ricchissimi di suggestioni, specie per noi europei.
Si tratta di fiabe per tanti versi
simili a quelle della nostra tradizione, ma con un’anima vibrante
che suscita nel lettore occidentale un grande fascino e un forte
senso di stupore. Oltre ad un certa dose di sconcerto.
Molte fiabe orientali, infatti –
anche quelle che sembrano più semplici – esprimono una profonda
ricchezza filosofica e tendono a evidenziare con modalità surreali i
paradossi e le illusioni della realtà che ci appare.
Non solo: spesso mostrano, dal punto di
vista della struttura narrativa, un’intrinseca diversità rispetto
a quelle europee. Tanto da disorientarci.
Le fiabe dell’Estremo Oriente,
infatti, si strutturano spesso in modo circolare e ci conducono ad
una conclusione che a noi occidentali appare del tutto identica al
punto di partenza: una struttura antitetica rispetto a quella tipica
della fiaba europea che segue invece una dinamica lineare e
progressiva per condurci ad una situazione risolutiva rispetto a
quella iniziale.
Nella fiaba occidentale accade ad
esempio che il più piccolo dei fratelli, quello che tutti
considerano svantaggiato, parta un giorno alla conquista dell’eredità
del re e – in una concatenazione lineare di eventi – dopo aver
superato una serie di prove grazie al proprio coraggio, riesca nel
suo intento e sposi la principessa di cui si è nel frattempo
innamorato.
Spesso la fiaba dell’Estremo Oriente
ci accompagna, invece, ad un finale in cui il lettore occidentale
sperimenta uno stato di vuoto, dove sembra che nulla alla fine sia
accaduto.
Non è così. Cioè: non è vero che
non sia accaduto nulla.
È invece successo qualcosa: è
accaduto esattamente il Nulla.
La fiaba orientale esprime così
proprio il Non–Essere inteso, nel contempo, come Essere nella sua
forma più piena.
Prendiamo ad esempio il Taoismo che
costituisce il quadro di riferimento per comprendere ‘Il sogno
della farfalla’. Il Taoismo cerca l’armonia nel continuo
mutamento di tutte le cose in quanto considera l’universo basato su
due forze opposte e complementari: lo yin (principio
femminile) e lo yang (principio maschile). Ogni elemento della
realtà viene associato con il maschile o il femminile: il caldo e il
freddo, la luce e il buio, il pieno e il vuoto, il sorgere e il
tramontare, il cielo e la terra. L’arte del vivere è vista come
una navigazione tra gli opposti – più che come una loro guerra –
e consiste nel saper tenere in equilibrio i contrari affinché,
unendosi, amorevolmente si annullino.
Ecco dunque il Nulla, che è quindi
allo stesso tempo Essere nella sua forma più piena in quanto
amorevole unione dei contrari.
È possibile così comprendere come la
visione taoista del mondo sia serenamente ciclica. La vita e la
morte, come tutti gli opposti, vanno e vengono continuamente in una
interdipendenza universale.
Ma anche nella visione buddhista del
mondo la circolarità del tempo appare come un elemento fortemente
caratterizzante, così come nella filosofia Zen.
Ecco allora che la circolarità risulta
una delle caratteristiche peculiari anche delle fiabe.
Certo, esistono anche in Estremo
Oriente fiabe che hanno una struttura lineare e che si concludono con
un matrimonio raggiunto dopo il superamento di faticose prove, ma
esistono con frequenza ancora maggiore fiabe con un finale in cui si
ritorna alla condizione di partenza, contrassegnata di frequente
dalla separazione dei personaggi principali ovvero dall’evento che,
nelle fiabe europee, si verifica all’inizio della storia per essere
superato via via con il procedere della narrazione.
La differenza di struttura narrativa de
‘Il sogno della farfalla’ rispetto alla fiaba europea –
circolare quindi, anziché lineare – è dunque ancor prima
espressione di una differenza culturale e filosofica.
Ma non possiamo fermarci qui.
La ricchezza delle fiabe è
sorprendente. Molto più profonda di quanto possa apparire a prima
vista.
La fiaba esprime anche un atteggiamento
nei confronti della natura e della società, perché gli avvenimenti
di ogni fiaba sono in realtà lo specchio di tutte le esperienze
dell’uomo.
Nelle fiabe dell’Estremo Oriente il
destino dell’uomo e della natura appaiono sempre profondamente
intrecciati.
Ne ‘Il sogno della farfalla’ viene
rappresentato un particolare stato di trascendenza, dove lo spirito
di Chuang Tzu è libero di vagare attraverso la creazione
divenendo una cosa sola con un’altra creatura, la farfalla.
Questa interazione tra mondo umano e
naturale è un aspetto comune sia al Taoismo che al Buddhismo.
Il Taoismo insegna a seguire la
corrente dei fenomeni naturali e considera la vita umana come
un’integrata caratteristica dei processi del mondo, non come
qualcosa che vi si oppone o che se ne separa. Noi e quanto ci
circonda siamo il processo di una sfera unificata: è questo ciò che
i cinesi chiamano Tao. E anche nel Buddhismo vi è una legge
universale per cui la differenza tra quello che facciamo e quello che
ci accade sembra scomparire. È chiaro così che ogni sofferenza
inferta ad un altro essere umano, o alla natura, ha come conseguenza
un danno per noi stessi.
È questo un elemento caratteristico
delle fiabe orientali che offre spunti notevoli al mondo occidentale,
ovvero a tutta quella cultura – in cui sono immersi anche i nostri
bambini – a volte troppo egocentrica e sorda ai segni della
sofferenza degli altri uomini e della natura.
E così, tra le righe delle fiabe,
emerge anche un ideale di società e di giustizia.
Di sicuro leggere in pubblico una fiaba
come ‘Il sogno della farfalla’ nella Cina del XVII secolo
significava sobillare il popolo contro l’ordine sociale.
Sembra incredibile poter pensare che le
fiabe abbiano questo potere. Eppure una fiaba che racconta come le
creature viventi (un uomo e una farfalla) esistano sullo stesso piano
liberi da tutto – anche da impegni verso gli antenati o verso i
discendenti – distrugge la premessa fondamentale dell’ordine
sociale cinese dettata dalla filosofia confuciana: il diritto
ereditario che giustifica la gerarchia sociale imperatore–suddito,
padre–figlio, marito–moglie, funzionario–contadino.
E così in Cina accadeva che mentre gli
scritti confuciani difendevano gli ordini sociali superiori
(imperatore, padre, marito), le fiabe popolari davano voce agli
ordini inferiori, trovando come interpreti gli scrittori taoisti che
trascrivevano le storie delle ingiurie inflitte dai potenti ai
subordinati; inclusi i bambini, le donne, gli animali.
Ecco dunque alcuni dei motivi generali
che appartengono alle fiabe dell’Estremo Oriente: già ci chiamano
ad un affascinante viaggio in un altro modo di pensare.
Ogni realtà geografica locale, poi, ha
saputo sviluppare nelle proprie fiabe elementi distintivi e
peculiari.
Riscontrabili ad esempio nelle figure
dei personaggi animali.
Sappiamo che i personaggi delle fiabe
esprimono funzioni narrative più che caratteri psicologici, ma è
anche vero che il contesto culturale in cui la fiaba nasce conferisce
ai propri personaggi una certa fisionomia, spesso specifica.
Così in Giappone troviamo la volpe
(kitsune) vista come spirito furbo, misterioso, infido,
affascinante, capace di trasformarsi in modi imprevedibili e di
arrivare a possedere la mente dell’uomo; o il tengu, il
volante ‘cane celeste’ dal volto rosso, rappresentato solitamente
con un ventaglio di piume in mano, che ha l’abitudine di provocare
incendi, favorire le guerre, rapire i bambini, far sparire gli
adulti.
Per la Cina accenniamo almeno al drago,
simbolo per secoli dell’impero (il viso dell’imperatore è ‘il
volto del drago’ e un imperatore in collera ‘increspa le squame’)
visibile ovunque: ricamato sugli abiti da cerimonia, sui soffitti dei
teatri, dipinto sulle ceramiche e sulle prue delle barche. Il drago è
l’essere che incarna lo spirito cosmico acquatico e vive
dell’energia del ciclo dell’acqua: pioggia, fiume, mare, vapore e
pioggia ancora. In Cina il drago annuncia i temporali sputando
fulmini, alza il vento battendo le ali e, volando tra le nubi,
rappresenta la pioggia con tutte le sue benedizioni.
Le fiabe che invece provengono dalla
Mongolia, immensa steppa su un altopiano battuto dai venti siberiani,
esprimono fortemente la tradizione nomade dei suoi abitanti: gli
animali rivestono un ruolo così fondamentale in quella quotidianità
che nelle fiabe non esistono mai barriere linguistiche tra loro e gli
uomini. Accade allora che il cavallo, amico fedele, può dare buoni
consigli per aiutare il proprio padrone, e che per intimorire lo
sciocco lupo – frequente pericolo per le greggi – basti una
minaccia verbale fatta con la dovuta fermezza.
Nelle fiabe della Corea il ruolo del
cattivo, invece, è affidato di solito a due personaggi animali
estremamente differenti: alla tigre, un tempo assai diffusa in quella
penisola e portatrice di attacchi mortali specie nei villaggi più
sperduti, e al singolare millepiedi, continuo subdolo ideatore di
misfatti e malefici.
Ma l’elemento fondamentale che
accomuna le fiabe dell’Estremo Oriente e che più affascina il
lettore europeo è certamente la loro scrittura: i sapienti tratti
d’inchiostro con cui le fiabe tradizionali sono state fermate sulla
carta.
In tutti i paesi dell’Estremo Oriente
vi è uno storico amore per la calligrafia, un’ammirazione per la
bellezza dei caratteri scritti che – originariamente – non erano
altro che precise immagini naturali. Un proverbio cinese dice che
un’immagine è meglio di mille parole, perché è più efficace
mostrare che descrivere. Nel corso dei secoli i pittogrammi graffiati
sul bambù sono diventati figure disegnate con il pennello su seta o
su carta, poche delle quali hanno ancora una somiglianza
riconoscibile con le loro forme originarie. Ma proprio per il fatto
che la scrittura in Estremo Oriente è almeno di un gradino più
vicina alla rappresentazione della natura rispetto al nostro
alfabeto, ecco che non è possibile trovare in nessun altro mondo
fiabesco un’unione così forte tra scrittura e illustrazione.
Ed è così che la scrittura delle
fiabe e la loro illustrazione – le due forze artistiche che insieme
danno vita ad ogni vero buon libro per ragazzi – proprio in Estremo
Oriente si trovano da tempo talmente vicine da essere in realtà,
nella loro stessa essenza, profondamente unite.
Nello stesso favoloso
segno.
1Tratto
da Luigi Dal Cin, Il sogno della farfalla: le fiabe in Estremo
Oriente, saggio
introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia –
25a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’,
ottobre 2007
2tratto
da ‘Il vecchio, il sogno e la farfalla’, Luigi Dal Cin, Favolosi
intrecci di seta – Fiabe dall'Estremo Oriente, Franco Cosimo
Panini Editore, 2007