6. A ritmo d’incanto: le fiabe dal
Brasile1
[...] Verso sera i giaguari diedero
inizio ai canti e alle danze, e la festa era così bella che anche
l’uomo desiderò parteciparvi.
‘Nel buio non si accorgeranno che
un essere umano si mescola a loro’ pensò, e così si unì alle
danze.
Notte dopo notte imparò tutti i
loro canti e le loro danze senza che i giaguari sospettassero la
presenza di un intruso.
E fu così che apprese tutti i
segreti del Mondo di Sotto, finché decise di risalire sulla terra
per raccontare ai suoi fratelli tutto quello che aveva visto e
imparato. [...]2
Il ritmo del canto e della danza è
presentato, in questo passo di fiaba Tembé della regione di Parà,
come una preziosa sapienza che un uomo, di notte, ha avuto il
coraggio di rubare alla misteriosa comunità dei giaguari. È il
ritmo segreto della foresta che diventerà, una volta svelato, il
ritmo della festa dell’uomo.
A un’attenta lettura, tutte le fiabe
brasiliane sono raccontate avendo sullo sfondo questo ritmo, a volte
irrefrenabile, a volte appena sussurrato. Un ritmo d’incanto, che
ha le sue radici più antiche proprio nella meraviglia profonda della
natura primigenia, scandito da un fitto dialogo tra terra, acqua e
cielo; piante, animali e uomini.
Il Brasile è la più grande nazione
del Sud America. Il suo immenso territorio spazia dalle foreste
pluviali tropicali del bacino amazzonico - le più estese del mondo -
ai pascoli delle grandi praterie, dagli smisurati altopiani alle
ampie spiagge di sabbia sull’oceano, dai più larghi fiumi della
terra - la distanza tra una riva e l’altra del Rio delle Amazzoni,
il ‘Gran Serpente Madre degli Uomini’ raggiunge verso l’estuario
i 100 chilometri - alle imponenti catene montuose, dai centri urbani
densamente popolati a regioni inaccessibili e segrete.
Il Brasile è un’eccezionale
combinazione di svariati paesaggi. E un’eccezionale combinazione di
svariate etnie.
Per primi gli indios, i cui antenati
diedero vita a un imponente movimento migratorio che, attraversato lo
stretto di Bering, raggiunse l’America meridionale fra il 15.000 e
il 10.000 avanti Cristo. La popolazione indigena ai tempi della
Conquista del Brasile è stimata in circa 5.000.000 di individui che
parlavano più di 300 diversi idiomi. Oggi i dati riferiscono di
220.000 persone (ossia lo 0,2% della popolazione complessiva) e di
appena 170 lingue indigene, il 95% delle quali considerate a rischio
di estinzione.
Per secondi, quindi, i portoghesi. Il 9
marzo del 1500, una flotta composta da 15 navi, con a bordo 1.500
uomini, lasciò il Portogallo per dirigersi in India, con il
proposito di seguire la rotta segnata da Vasco de Gama che prevedeva
la circumnavigazione dell’Africa. Una spedizione imponente,
affidata al comando di Pedro Alvares Cabral: ne facevano parte
geografi, missionari francescani, mercanti e amministratori inviati a
reggere i possedimenti coloniali in India. Per evitare le bonacce del
Golfo di Guinea, le navi si spostarono sempre più a ovest finché,
il 22 aprile, fu avvistata terra. Cabral affermò il diritto di
sovranità del Portogallo sul territorio che chiamò Santa Cruz, nome
presto abbandonato in favore di Brasile, da pau brasil, nome
portoghese del prezioso e resistente legno rosso di cui abbonda la
regione, che divenne il primo prodotto di esportazione dalla nuova
colonia.
Trattare della storia delle relazioni
tra indios e cultura europea significa entrare in una notte d’orrore
rischiarata solo da pochi fuochi di anime grandi, tra cui profeti
indios e alcuni missionari. La Conquista trasformò il Brasile in una
‘riserva di caccia’ al servizio della Corona portoghese.
Eliminazione diretta, schiavitù e riduzione dei popoli liberi in
villaggi facilmente controllabili furono i metodi usati nei primi tre
secoli della Conquista. E così, brutalmente defraudati della propria
terra, vittime di malattie europee – come il morbillo e il vaiolo –
contro le quali non avevano difese, sterminati da guerre, prima, e
poi dai garimperos (i cercatori d’oro), dai bugreiros
(i cacciatori di indios che difendevano l’occupazione delle terre
occidentali da parte dei coltivatori), dai seringueiros (i
cercatori di caucciù), e costretti a diverse forme di dipendenza,
con il tempo gli indios furono in gran parte confinati in alcune aree
del Mato Grosso e in Amazzonia, dove devono convivere ancora oggi con
il dramma, dalle immense conseguenze globali, della distruzione di
foreste voluta dall’espansione dei coloni.
Infine i neri africani. I primi schiavi
arrivarono in Brasile verso la metà del sedicesimo secolo. Dal 1559,
la Corona portoghese ne formalizzò addirittura il commercio: ogni
proprietario di piantagione di canna da zucchero aveva diritto di
importare dall’Africa 120 schiavi l’anno. Tanto che, all’inizio
del XIX secolo, i neri rappresentavano il doppio della popolazione
della colonia, composta da portoghesi, indios e meticci.
È dalla originale combinazione di
queste tre anime pulsanti così diverse che nasce lo speciale stile
di vita brasiliano e la sua singolare cultura. Fatta, per l’appunto,
di continue contaminazioni e mescolanze, dall’intreccio di tre
armonie differenti. Si pensi alla famosa saudade, ‘malinconia’
caratteristica e comprensibile solo in Brasile, prodotto di
popolazioni innegabilmente nostalgiche: i portoghesi (con il loro
fado), i neri africani (che, come già detto, venuti in Brasile per
lavorare come schiavi si ammalavano di banzo, un tipo di
malinconia tanto forte da uccidere), e gli indios (con
l’inestinguibile nostalgia delle loro terre conquistate e devastate
dagli europei). Come impedire allora che la saudade ogni tanto
tocchi il cuore brasiliano? Ma, ancor prima di questo tocco, si pensi
più di tutto al suo caratteristico battito, al suo ritmo unico e
vitale, che esprime una modalità così profondamente viva e lieta di
assaporare l’esistenza. Anch’essa si trova ritmicamente
sussultare nelle fiabe del Brasile. Come si trova nei festeggiamenti
per il Carnevale, dove si fondono tradizioni coloniali portoghesi con
elementi di cultura africana, e dove le protagoniste sono proprio le
donne meticce, considerate simbolo della bellezza, del ritmo, della
gioia di vivere. Oppure si pensi alla commistione religiosa tipica
dei riti afro-brasiliani di purificazione dedicati a Iemanjà, la dea
del mare, cui si offrono, tuffati dalla spiaggia, i doni più
disparati: dai fiori alle boccette di profumo, dalle bambole alle
bottiglie di champagne.
Queste tre anime si trovano unite in
uno stesso territorio da una stessa lingua, il portoghese, che
distingue il Brasile dai vicini paesi di lingua spagnola. Il ritmo
d’incanto delle sue fiabe rispecchia fedelmente il fascino del
portoghese proprio nella sua inflessione tipicamente brasiliana:
quella che sa vestire di dolcezza ogni momento della narrazione e,
oltre, ogni angolo di ogni realtà, anche il più povero e il più
doloroso.
Ma le fiabe tradizionali, come
sappiamo, nascono molto lontano nel tempo, nella notte dei secoli,
dove un gruppo di persone si è ritrovato per condividere ciò che
viveva di più profondo: le proprie speranze, i desideri più
autentici, i propri valori, la saggezza guadagnata ma anche le
sofferenze, o l’aspirazione ad un modo più felice di vivere
insieme nel proprio ambiente. Poi spesso accade che le fiabe viaggino
nelle epoche e nei luoghi, continuino a muoversi insieme alle
persone, e nel loro vagare a volte si arricchiscano di elementi
tipici di una cultura differente da quella in cui sono nate,
assumendo così forme e versioni diverse.
Ecco allora che, per comprendere
davvero il nucleo profondo delle fiabe del Brasile, è necessario
trovarne la radice propria, risalire indietro alle epoche più
lontane, agli albori della storia. E la storia brasiliana non ebbe
inizio al tempo della Conquista: l’uomo vi si insediò in epoche
ben più remote. È infatti da quelle epoche, e da quelle culture,
che derivano i personaggi mitici delle antiche fiabe brasiliane, gli
stessi che si trovano raffigurati sui vasi primitivi ritrovati nella
regione di Santarèm, con mitiche raffigurazioni dell’anaconda
ancestrale, del giaguaro, del serpente, e di figure metà donna e
metà pesce.
Ecco allora il Signore degli Animali,
Vaì-mahsë, o Korupira, o Putcha, lo spirito
custode dei segreti degli animali della foresta e delle virtù
medicinali delle piante, implacabile vendicatore degli animali uccisi
in modo indiscriminato. Tutti i rumori indefinibili che rompono il
silenzio della foresta provengono dal Korupira, che è un payè
(sciamano) a tutti gli effetti e presiede un’assemblea formata da
animali e spiriti abilissimi nelle trasformazioni. Quando Vaì-mahsë
è arrabbiato incarica i suoi sudditi di portare agli uomini
malattie o serpenti velenosi, o talvolta un giaguaro. Tocca agli
sciamani scoprire in quale animale si sia trasformato lo spirito, e
tocca a loro organizzare le cerimonie propiziatrici per condurre a un
buon esito la caccia e la pesca.
La Madre d’Acqua, o Yacumama,
è invece il grande spirito delle acque, entità femminile signora
dei fiumi in forma di enorme serpente anaconda o boa. Quando una
zattera è intrappolata in un gorgo, per placare la Madre d’Acqua,
gli indios versano nell’acqua vino, alimenti o pepe perché sia
liberata.
La Madre, invece, è uno spirito
protettore delle piante. Gli alberi selvatici sono stati seminati
dalle loro Madri che possono assumere la forma di serpenti, o di
rane, o di insetti, come la formica e la vespa. Gli indios hanno per
le piante lo stesso rispettoso riguardo che mostrano per gli animali.
Evitano accuratamente di abbatterne una senza necessità, e sanno
escogitare ingegnosi sistemi per raggiungerne i frutti senza
danneggiarla. Riti propiziatori analoghi a quelli che precedono la
caccia e la pesca sono in genere dedicati alle Madri delle specie
commestibili di maggiore consumo. In questo caso protagoniste delle
cerimonie rituali sono le donne, la cui fecondità si identifica con
la fertilità della terra madre.
Poi ci sono i personaggi animali, con
caratteristiche spesso antropomorfe, capaci di sentire, parlare,
pensare come gli uomini, e con l’uomo capaci di comunicare. Ogni
animale porta un nome proprio, conserva il proprio carattere naturale
assumendo allo stesso tempo un preciso ruolo fisso nella società
animale che diviene spesso specchio di quella umana. Le storie con
protagonisti animali presentano così un duplice significato: da una
parte ci si propone di spiegare caratteristiche ed abitudini
dell’animale, dall’altra di ironizzare sui vizi dell’uomo. Ecco
allora il grande saggio serpente che conosce ogni segreto della
foresta; il giaguaro temuto per la sua forza e, spesso, figura
dell’oppressore arrogante che, confidando troppo nelle proprie
forze, finisce per diventare stupido e farsi giocare dai più
piccoli: come Jabutì, la furba e audace tartaruga, protagonista di
molte fiabe in cui si diverte a suonare un flauto costruito proprio
con una tibia di giaguaro; e poi bradipi che si nutrono d’aria,
scimmie infaticabili e nervose, pappagalli elegantissimi, ma
chiassosi e stupidi. Questi mitici personaggi si sono poi, come tutto
nella cultura brasiliana, mescolati con l’immaginario introdotto
dagli europei, e con quello trascinato con sé dagli schiavi
africani.
Ecco perché tutte le fiabe brasiliane
sono raccontate sul battito del cuore della natura. E la foresta
tropicale ha da sempre il potere di coinvolgere totalmente i sensi
dell’uomo che la abita: i suoni giungono da ogni parte, in
continuazione, e lo avvolgono in un mantello sonoro che è come una
seconda pelle. Un ritmo travolgente o appena bisbigliato,
inizialmente conosciuto solo dai giaguari, che diventerà, una volta
svelato, il ritmo della festa dell’uomo.
È forse oggi il medesimo ritmo
incarnato dalle incantevoli canzoni brasiliane che raccontano, in una
moderna narrazione, storie da tramandare in musica; il ritmo di una
danza innata che le differenti anime di un immenso nuovo popolo
seguono al passo, nella difficile ma esaltante ricerca di un futuro
comune.
1 tratto
da Luigi Dal Cin, A Ritmo d’Incanto: le fiabe del Brasile,
saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia
– 28a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’,
ottobre 2010
2 tratto
da ‘La festa per il miele’, Luigi Dal Cin, A Ritmo d'Incanto
– Fiabe dal Brasile, Franco Cosimo Panini Editore, 2010