giovedì 16 agosto 2018

Le fiabe che oltrepassano i confini # 6 - A ritmo d’incanto: le fiabe dal Brasile

6. A ritmo d’incanto: le fiabe dal Brasile1

[...] Verso sera i giaguari diedero inizio ai canti e alle danze, e la festa era così bella che anche l’uomo desiderò parteciparvi.
Nel buio non si accorgeranno che un essere umano si mescola a loro’ pensò, e così si unì alle danze.
Notte dopo notte imparò tutti i loro canti e le loro danze senza che i giaguari sospettassero la presenza di un intruso.
E fu così che apprese tutti i segreti del Mondo di Sotto, finché decise di risalire sulla terra per raccontare ai suoi fratelli tutto quello che aveva visto e imparato. [...]2

Il ritmo del canto e della danza è presentato, in questo passo di fiaba Tembé della regione di Parà, come una preziosa sapienza che un uomo, di notte, ha avuto il coraggio di rubare alla misteriosa comunità dei giaguari. È il ritmo segreto della foresta che diventerà, una volta svelato, il ritmo della festa dell’uomo.
A un’attenta lettura, tutte le fiabe brasiliane sono raccontate avendo sullo sfondo questo ritmo, a volte irrefrenabile, a volte appena sussurrato. Un ritmo d’incanto, che ha le sue radici più antiche proprio nella meraviglia profonda della natura primigenia, scandito da un fitto dialogo tra terra, acqua e cielo; piante, animali e uomini.
Il Brasile è la più grande nazione del Sud America. Il suo immenso territorio spazia dalle foreste pluviali tropicali del bacino amazzonico - le più estese del mondo - ai pascoli delle grandi praterie, dagli smisurati altopiani alle ampie spiagge di sabbia sull’oceano, dai più larghi fiumi della terra - la distanza tra una riva e l’altra del Rio delle Amazzoni, il ‘Gran Serpente Madre degli Uomini’ raggiunge verso l’estuario i 100 chilometri - alle imponenti catene montuose, dai centri urbani densamente popolati a regioni inaccessibili e segrete.
Il Brasile è un’eccezionale combinazione di svariati paesaggi. E un’eccezionale combinazione di svariate etnie.
Per primi gli indios, i cui antenati diedero vita a un imponente movimento migratorio che, attraversato lo stretto di Bering, raggiunse l’America meridionale fra il 15.000 e il 10.000 avanti Cristo. La popolazione indigena ai tempi della Conquista del Brasile è stimata in circa 5.000.000 di individui che parlavano più di 300 diversi idiomi. Oggi i dati riferiscono di 220.000 persone (ossia lo 0,2% della popolazione complessiva) e di appena 170 lingue indigene, il 95% delle quali considerate a rischio di estinzione.
Per secondi, quindi, i portoghesi. Il 9 marzo del 1500, una flotta composta da 15 navi, con a bordo 1.500 uomini, lasciò il Portogallo per dirigersi in India, con il proposito di seguire la rotta segnata da Vasco de Gama che prevedeva la circumnavigazione dell’Africa. Una spedizione imponente, affidata al comando di Pedro Alvares Cabral: ne facevano parte geografi, missionari francescani, mercanti e amministratori inviati a reggere i possedimenti coloniali in India. Per evitare le bonacce del Golfo di Guinea, le navi si spostarono sempre più a ovest finché, il 22 aprile, fu avvistata terra. Cabral affermò il diritto di sovranità del Portogallo sul territorio che chiamò Santa Cruz, nome presto abbandonato in favore di Brasile, da pau brasil, nome portoghese del prezioso e resistente legno rosso di cui abbonda la regione, che divenne il primo prodotto di esportazione dalla nuova colonia.
Trattare della storia delle relazioni tra indios e cultura europea significa entrare in una notte d’orrore rischiarata solo da pochi fuochi di anime grandi, tra cui profeti indios e alcuni missionari. La Conquista trasformò il Brasile in una ‘riserva di caccia’ al servizio della Corona portoghese. Eliminazione diretta, schiavitù e riduzione dei popoli liberi in villaggi facilmente controllabili furono i metodi usati nei primi tre secoli della Conquista. E così, brutalmente defraudati della propria terra, vittime di malattie europee – come il morbillo e il vaiolo – contro le quali non avevano difese, sterminati da guerre, prima, e poi dai garimperos (i cercatori d’oro), dai bugreiros (i cacciatori di indios che difendevano l’occupazione delle terre occidentali da parte dei coltivatori), dai seringueiros (i cercatori di caucciù), e costretti a diverse forme di dipendenza, con il tempo gli indios furono in gran parte confinati in alcune aree del Mato Grosso e in Amazzonia, dove devono convivere ancora oggi con il dramma, dalle immense conseguenze globali, della distruzione di foreste voluta dall’espansione dei coloni.
Infine i neri africani. I primi schiavi arrivarono in Brasile verso la metà del sedicesimo secolo. Dal 1559, la Corona portoghese ne formalizzò addirittura il commercio: ogni proprietario di piantagione di canna da zucchero aveva diritto di importare dall’Africa 120 schiavi l’anno. Tanto che, all’inizio del XIX secolo, i neri rappresentavano il doppio della popolazione della colonia, composta da portoghesi, indios e meticci.
È dalla originale combinazione di queste tre anime pulsanti così diverse che nasce lo speciale stile di vita brasiliano e la sua singolare cultura. Fatta, per l’appunto, di continue contaminazioni e mescolanze, dall’intreccio di tre armonie differenti. Si pensi alla famosa saudade, ‘malinconia’ caratteristica e comprensibile solo in Brasile, prodotto di popolazioni innegabilmente nostalgiche: i portoghesi (con il loro fado), i neri africani (che, come già detto, venuti in Brasile per lavorare come schiavi si ammalavano di banzo, un tipo di malinconia tanto forte da uccidere), e gli indios (con l’inestinguibile nostalgia delle loro terre conquistate e devastate dagli europei). Come impedire allora che la saudade ogni tanto tocchi il cuore brasiliano? Ma, ancor prima di questo tocco, si pensi più di tutto al suo caratteristico battito, al suo ritmo unico e vitale, che esprime una modalità così profondamente viva e lieta di assaporare l’esistenza. Anch’essa si trova ritmicamente sussultare nelle fiabe del Brasile. Come si trova nei festeggiamenti per il Carnevale, dove si fondono tradizioni coloniali portoghesi con elementi di cultura africana, e dove le protagoniste sono proprio le donne meticce, considerate simbolo della bellezza, del ritmo, della gioia di vivere. Oppure si pensi alla commistione religiosa tipica dei riti afro-brasiliani di purificazione dedicati a Iemanjà, la dea del mare, cui si offrono, tuffati dalla spiaggia, i doni più disparati: dai fiori alle boccette di profumo, dalle bambole alle bottiglie di champagne.
Queste tre anime si trovano unite in uno stesso territorio da una stessa lingua, il portoghese, che distingue il Brasile dai vicini paesi di lingua spagnola. Il ritmo d’incanto delle sue fiabe rispecchia fedelmente il fascino del portoghese proprio nella sua inflessione tipicamente brasiliana: quella che sa vestire di dolcezza ogni momento della narrazione e, oltre, ogni angolo di ogni realtà, anche il più povero e il più doloroso.
Ma le fiabe tradizionali, come sappiamo, nascono molto lontano nel tempo, nella notte dei secoli, dove un gruppo di persone si è ritrovato per condividere ciò che viveva di più profondo: le proprie speranze, i desideri più autentici, i propri valori, la saggezza guadagnata ma anche le sofferenze, o l’aspirazione ad un modo più felice di vivere insieme nel proprio ambiente. Poi spesso accade che le fiabe viaggino nelle epoche e nei luoghi, continuino a muoversi insieme alle persone, e nel loro vagare a volte si arricchiscano di elementi tipici di una cultura differente da quella in cui sono nate, assumendo così forme e versioni diverse.
Ecco allora che, per comprendere davvero il nucleo profondo delle fiabe del Brasile, è necessario trovarne la radice propria, risalire indietro alle epoche più lontane, agli albori della storia. E la storia brasiliana non ebbe inizio al tempo della Conquista: l’uomo vi si insediò in epoche ben più remote. È infatti da quelle epoche, e da quelle culture, che derivano i personaggi mitici delle antiche fiabe brasiliane, gli stessi che si trovano raffigurati sui vasi primitivi ritrovati nella regione di Santarèm, con mitiche raffigurazioni dell’anaconda ancestrale, del giaguaro, del serpente, e di figure metà donna e metà pesce.
Ecco allora il Signore degli Animali, Vaì-mahsë, o Korupira, o Putcha, lo spirito custode dei segreti degli animali della foresta e delle virtù medicinali delle piante, implacabile vendicatore degli animali uccisi in modo indiscriminato. Tutti i rumori indefinibili che rompono il silenzio della foresta provengono dal Korupira, che è un payè (sciamano) a tutti gli effetti e presiede un’assemblea formata da animali e spiriti abilissimi nelle trasformazioni. Quando Vaì-mahsë è arrabbiato incarica i suoi sudditi di portare agli uomini malattie o serpenti velenosi, o talvolta un giaguaro. Tocca agli sciamani scoprire in quale animale si sia trasformato lo spirito, e tocca a loro organizzare le cerimonie propiziatrici per condurre a un buon esito la caccia e la pesca.
La Madre d’Acqua, o Yacumama, è invece il grande spirito delle acque, entità femminile signora dei fiumi in forma di enorme serpente anaconda o boa. Quando una zattera è intrappolata in un gorgo, per placare la Madre d’Acqua, gli indios versano nell’acqua vino, alimenti o pepe perché sia liberata.
La Madre, invece, è uno spirito protettore delle piante. Gli alberi selvatici sono stati seminati dalle loro Madri che possono assumere la forma di serpenti, o di rane, o di insetti, come la formica e la vespa. Gli indios hanno per le piante lo stesso rispettoso riguardo che mostrano per gli animali. Evitano accuratamente di abbatterne una senza necessità, e sanno escogitare ingegnosi sistemi per raggiungerne i frutti senza danneggiarla. Riti propiziatori analoghi a quelli che precedono la caccia e la pesca sono in genere dedicati alle Madri delle specie commestibili di maggiore consumo. In questo caso protagoniste delle cerimonie rituali sono le donne, la cui fecondità si identifica con la fertilità della terra madre.
Poi ci sono i personaggi animali, con caratteristiche spesso antropomorfe, capaci di sentire, parlare, pensare come gli uomini, e con l’uomo capaci di comunicare. Ogni animale porta un nome proprio, conserva il proprio carattere naturale assumendo allo stesso tempo un preciso ruolo fisso nella società animale che diviene spesso specchio di quella umana. Le storie con protagonisti animali presentano così un duplice significato: da una parte ci si propone di spiegare caratteristiche ed abitudini dell’animale, dall’altra di ironizzare sui vizi dell’uomo. Ecco allora il grande saggio serpente che conosce ogni segreto della foresta; il giaguaro temuto per la sua forza e, spesso, figura dell’oppressore arrogante che, confidando troppo nelle proprie forze, finisce per diventare stupido e farsi giocare dai più piccoli: come Jabutì, la furba e audace tartaruga, protagonista di molte fiabe in cui si diverte a suonare un flauto costruito proprio con una tibia di giaguaro; e poi bradipi che si nutrono d’aria, scimmie infaticabili e nervose, pappagalli elegantissimi, ma chiassosi e stupidi. Questi mitici personaggi si sono poi, come tutto nella cultura brasiliana, mescolati con l’immaginario introdotto dagli europei, e con quello trascinato con sé dagli schiavi africani.
Ecco perché tutte le fiabe brasiliane sono raccontate sul battito del cuore della natura. E la foresta tropicale ha da sempre il potere di coinvolgere totalmente i sensi dell’uomo che la abita: i suoni giungono da ogni parte, in continuazione, e lo avvolgono in un mantello sonoro che è come una seconda pelle. Un ritmo travolgente o appena bisbigliato, inizialmente conosciuto solo dai giaguari, che diventerà, una volta svelato, il ritmo della festa dell’uomo.
È forse oggi il medesimo ritmo incarnato dalle incantevoli canzoni brasiliane che raccontano, in una moderna narrazione, storie da tramandare in musica; il ritmo di una danza innata che le differenti anime di un immenso nuovo popolo seguono al passo, nella difficile ma esaltante ricerca di un futuro comune.


1 tratto da Luigi Dal Cin, A Ritmo d’Incanto: le fiabe del Brasile, saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia – 28a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’, ottobre 2010

2 tratto da ‘La festa per il miele’, Luigi Dal Cin, A Ritmo d'Incanto – Fiabe dal Brasile, Franco Cosimo Panini Editore, 2010