9. I sogni del Serpente Piumato:
fiabe e leggende dal Messico1
Il suo nome infatti derivava da ‘quetzal’, lo spettacolare uccello dalla lunga coda, rosso sul petto ma per il resto verde brillante con riflessi blu, e da ‘coatl’ che significa serpente.
E proprio come diceva il suo nome, Quetzalcoatl univa in sé le qualità forti della terra e quelle leggere del cielo, ciò che striscia come il serpente e ciò che vola come il quetzal.
Quetzalcoatl si fece crescere la
barba e si dimostrò così curioso che in breve arrivò a conoscere
ogni segreto, e divenne simile agli dei. Trascorreva le sue giornate,
in meditazione, nelle quattro case che si era costruito lungo le
quattro direzioni del mondo: una fatta di pietre preziose verdi, una
rivestita di conchiglie bianche, la terza di conchiglie rosse, e
l’ultima coperta di meravigliose piume di quetzal.2
Incuneato
tra due mari, il Messico è una singolare tessitura di elementi
multiformi: oceani e penisole, paludi e vulcani, monti e laghi,
distese desertiche e grandi città, fitte foreste e fertili valli.
Abitate già 20.000 anni fa, queste terre diedero vita a splendide
civiltà. Poi arrivarono i conquistadores di Cortés e, con loro, la
distruzione.
Quando
nell’agosto del 1519 giunse all’orecchio dell’imperatore
mexicas Motecuhzoma la notizia dell’arrivo dal mare di misteriosi
uomini bianchi barbuti che sapevano cavalcare animali come ‘grandi
cervi’, pensò subito si trattasse del profetizzato ritorno di
Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, perché otto erano stati i presagi
che l’avevano annunciato.
I
popoli del Messico avevano allora già costruito grandi città
governate con sistemi amministrativi complessi, facevano uso di
raffinati metodi di scrittura, avevano prodotto altissime forme di
poesia, musica, danza, architettura, scultura, arte in generale,
conoscevano il cielo e i suoi segreti, e li rivelavano nella
compilazione di articolati calendari. Ma ciò che attirò i primi
europei non fu la loro straordinaria cultura.
Fu
semplicemente il loro oro.
Nel
1521 la capitale mexicas Tenochtitlán (situata dove oggi sorge Città
del Messico) che contava allora 300.000 abitanti, fu conquistata e
saccheggiata: ‘Ci apparve – racconta Bernal Díaz del Castillo,
il principale cronista spagnolo della conquista del Messico – come
quelle fiabe incantate che si raccontano [...]; delle sue torri,
delle sue immense piramidi, degli edifici nell’acqua in muratura,
alcuni dei nostri soldati dissero che ciò che avevano visto era
certamente un sogno’3.
Un sogno di straordinaria bellezza dissolto nell’incubo. Fu un’alba
di sangue e di saccheggi, in cui solo una minima parte di quei
preziosissimi tesori fu conservata o descritta per i posteri.
Eppure,
l’anno prima, il grande artista Albrecht Dürer, esaminando le
opere mexicas inviate da Cortés a re Carlo V, aveva esclamato: ‘In
vita mia non ho mai visto niente che mi abbia rallegrato tanto il
cuore quanto questi oggetti: vi ho visto infatti meravigliose opere
d’arte e mi sono stupito dell’acuto ingegno degli uomini di
quelle terre straniere’.
È
immediato per noi condannare la massiccia distruzione delle opere
d’arte avvenuta ai tempi della conquista spagnola, ma
l’annientamento delle conoscenze, della scrittura, delle
tradizioni, delle credenze locali seguito ai massacri, alle malattie,
alla schiavitù produsse una perdita culturale ancora più profonda.
Eppure
quella cultura non è morta, afferma con orgoglio un qualsiasi
messicano, perché la conquista spagnola non ha saputo strapparne le
radici, e così la mitologia, le leggende, le fiabe continuano ancora
a sopravvivere nella tradizione orale dei discendenti dei Mexicas,
dei Maya e degli altri popoli nativi del Messico.
Esistono,
in realtà, anche fonti scritte: i popoli nativi sapevano scrivere e
documentarono la propria cultura con vari mezzi: i manoscritti, i
vasi dipinti, le incisioni su legno e su pietra. E ugualmente
importanti sono le immagini che li accompagnano (le antiche
illustrazioni!). Purtroppo, dei manoscritti preispanici – i
cosiddetti codici – ne sono sopravvissuti solo diciotto. Ma per
fortuna esistono il Popol Vuh (o ‘Libro del Consiglio’) e gli
scritti degli ordini religiosi che, spesso – a differenza dei
conquistadores – invece di denigrare la cultura nativa, la
ammiravano per le mete elevate che aveva raggiunto: grazie a
Bernardino de Sahagún, a Bartolomé de las Casas e agli altri
cronisti del XVI secolo si ha così un’eccellente documentazione
sui miti accompagnata, anche, da elogi alla raffinatezza culturale
delle civiltà preispaniche.
Il
Popol Vuh, invece, ha un’origine differente. È stato scritto da un
anonimo copista maya qualche decennio dopo l’arrivo degli spagnoli
per conservare nella sua lingua le tradizioni del suo popolo, e
rappresenta ad oggi il testo più significativo e più alto della
produzione letteraria preispanica dell’intero continente americano.
Vi si trova espressa, con un potente linguaggio lirico,
un’appassionata riflessione sul significato dell’esistenza umana:
nelle sue tre sezioni sono riportate le narrazioni sull’origine del
cosmo, le interpretazioni mitiche dello scontro tra forze negative e
positive, le informazioni sull’organizzazione politica e sociale
dello stato dei Maya.
È
così che le esuberanti figure originarie di questi antichi popoli
sono tutte ancora vive nei racconti della tradizione: elementi
culturali multiformi di grande suggestione che si intrecciano –
anch’essi, come gli aspetti molteplici del Messico – con le
culture successive a noi più note.
È
così che oggi, in alcune fiabe e leggende messicane, si mescolano le
figure simboliche dei nativi con, ad esempio, le figure della
religione cristiana – la Vergine Maria o qualche santo –
associate a concetti propri dell’universo religioso indigeno: la
Madre Terra, la fertilità, la pioggia, la rinascita, la morte,
l’anima individuale4,
ecc.
A
tal proposito, la commistione delle narrazioni di origine preispanica
con i santi cattolici o con avvenimenti storici anche recenti non è
indice di una tradizione mitica decadente o addirittura morente: è
invece la prova della vitalità di una straordinaria tradizione
orale, in grado di adeguarsi ai cambiamenti di un mondo in continua
evoluzione. Avvicinarsi a queste simboliche associazioni, allora, è
come affacciarsi all’orlo di uno sconosciuto mondo fatto di figure,
credenze, simboli e forme del passato che irresistibilmente spingono
per affiorare, magari in una festa popolare o in un mercato, magari
come oggetti di culto millenario su una bancarella moderna,
seminascosti tra giocattoli di plastica e frutta esotica colorata.
Ma
veniamo agli elementi fondamentali delle narrazioni native.
Nel
1524, meno di tre anni dalla conquista del Messico, un gruppo di
saggi mexicas parlò con i primi missionari francescani. Le loro
frasi sono riportate da Bernardino de Sahagún e rappresentano il
primo scambio di idee tra due mondi sviluppatisi in modo indipendente
per migliaia di anni: ‘Voi dite che non conosciamo il Signore della
vicinanza e dell’unione, cui appartengono i cieli e la terra. Dite
che i nostri dei non sono veri. Queste sono per noi parole nuove, che
ci rattristano e ci turbano. I nostri antenati, vissuti prima di noi
sulla terra, non erano abituati a parlarci così. Da loro abbiamo
ereditato il nostro sistema di vita, che essi credevano vero; essi
trattavano con riverenza e onoravano i nostri dei’5.
In
realtà i punti in comune erano molto più profondi di quelli che in
quel momento apparivano. Per i Mexicas, infatti, non si può parlare
di una vera religione politeista: in ogni narrazione mitica è sempre
presente un’entità spirituale spesso chiamata il ‘Datore della
Vita’, che abita la parte più alta dei cieli e rappresenta il
principio supremo di una realtà metafisica e spirituale che tutto
regge e governa, il ‘Signore della vicinanza e dell’unione’,
Ometeotl. Alla luce di questa unica divinità che tutto sovrintende,
gli altri dei minori – che hanno dato luogo all’errata
definizione di religione politeistica – appaiono più come principi
simbolici che riflettono l’energia dei fenomeni naturali6:
luce e buio, giorno e notte, vita e morte, fuoco e acqua, sole e
luna, che, osservati nella natura considerata sacra, erano oggetto di
culto, ma sempre derivanti dal Datore della Vita. Ometeotl è inoltre
un dio duale, che incarna sia il principio creativo femminile che
quello maschile, e genera quattro figli: Tezcatlipoca rosso,
Tezcatlipoca nero, Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, e
Huitzilopochtli, il Colibrì del Sud, rappresentanti simbolicamente
le energie primordiali che generano il cosmo, le direzioni
dell’universo, gli elementi della natura, e sono legate al
simbolismo dei colori (i colori delle quattro case del Serpente
Piumato).
Quetzalcoatl
e Tezcatlipoca nero svolgono un ruolo fondamentale nella mitologia
mexicas della creazione: Quetzalcoatl è identificato con l’acqua,
con la fertilità e, per estensione simbolica, con la vita,
l’armonia, l’equilibrio. È il creatore della quinta umanità (la
nostra) dopo essere sceso agli inferi. A seguito della caduta del
cielo, con il diluvio, fu uno di quelli che lo risollevarono e lo
sostennero. Abbandonò la sua terra e promise di tornare
dall’oriente, simboleggiando in tal modo il percorso del sole. È
l’eroe fondatore della cultura mexica: a lui sono infatti
attribuite tutte le massime conoscenze raggiunte allora sia in campo
filosofico che scientifico. Trasformato in divinità attraverso il
mito, diventa il simbolo solare (dunque luminoso) della Conoscenza,
profondo modello dell’Uomo archetipico. Unisce in sé
simbolicamente la forza della terra (serpente) con le energie del
cielo (Quetzal) e, quindi, il mondo materiale con il mondo
spirituale. Rispecchia, in una parola, l’ideale di divinizzazione
dell’uomo, l’uomo illuminato.
Tezcatlipoca
rappresenta invece il conflitto: è un dio terribile, il cui nome
significa ‘specchio fumante’ – alludendo al nero vetro di
ossidiana derivante dalla lava quando solidifica in fretta a contatto
con l’acqua – ma viene chiamato spesso anche ‘l’Avversario’
o ‘Colui di cui siamo schiavi’.
E
poi ci sono tutte le altre divinità minori. Nella mitologia maya si
tratta quasi sempre di esseri imperfetti, spesso molto generosi, ma a
volte anche impacciati7,
capricciosi, bisognosi delle preghiere e delle cure dell’uomo per
sopravvivere, come spesso racconta il Popol Vuh: divinità minori
specchio, quindi, dell’intera variegata umanità.
Gli
dei minori partecipano alla creazione delle differenti specie
animali, ciascuna con le proprie caratteristiche, assistendo spesso a
recriminazioni da parte dell’animale insoddisfatto, con la
necessità di trovare soluzioni di ripiego8,
punizioni9,
espedienti d’emergenza dai risultati inaspettati, anche per le
divinità stesse
che li hanno
messi in atto10.
Queste narrazioni mitiche, che si situano accanto al genere
favolistico, sono frequenti in tutte le civiltà del mondo e
mostrano, anche quando la scena del racconto appartiene tutta agli
animali, come il protagonista rimanga sempre l’uomo. Agli animali
vengono dati attributi umani: gli animali sono capaci di sentire,
parlare, pensare come gli uomini. Ogni animale è antropomorfizzato e
porta un nome proprio, conserva il proprio carattere naturale
assumendo allo stesso tempo un preciso ruolo nella società animale
che diviene specchio di quella umana. Le storie con protagonisti
animali presentano così una duplice prospettiva: da una parte ci si
propone di spiegare caratteristiche e abitudini dell’animale,
dall’altra di spiegare i vizi dell’uomo attraverso i
comportamenti animali, con lo scopo di fornire una lezione morale o
di ironizzare su alcune abitudini tipicamente umane. Queste
narrazioni, raccontando degli animali, trasmettono così una
concezione della vita, parlano dei piccoli, degli oppressi, dicono
l’ingiustizia, la prepotenza, il coraggio, l’amore, la
generosità: perché il racconto che proviene da un’antica
tradizione non si limita mai ad accumulare aneddoti più o meno
curiosi.
E
dopo la creazione del mondo e degli animali, il diluvio, la
rigenerazione della nostra umanità: ecco il mito mexicas (ma tale
narrazione è una costante anche di altri popoli nativi del Messico11)
del Grande Pellegrinaggio alla ricerca della terra promessa, dove
fondare una città dal grande futuro. Intorno a tale mito, certamente
legato ad una realtà storica, nacquero molti altri episodi che
narrano sia i vari aspetti della vita sociale e rituale dei Mexicas,
sia il rapporto con gli altri popoli con cui essi vennero a
contatto12.
Legata
alla vita delle comunità native vi è poi una numerosa serie di
leggende che narrano, con infinite varianti, della scoperta del mais,
elemento indispensabile per la sopravvivenza di quei popoli13,
oppure racconti di principi e principesse che sfuggono al protocollo
di corte che impone loro matrimoni combinati, per cercare il vero
amore lontano dai palazzi del potere.
Non
mancano poi i racconti incentrati sulla figura del Nagual, lo
sciamano14,
capace di trasformarsi, attraverso pratiche legate all’estasi e al
sogno, in un animale spesso altamente simbolico, come l’aquila o il
giaguaro, e di poter viaggiare liberamente per poi riassumere le
proprie sembianze.
E
come i sogni degli dei creano quanto esiste15,
così i sogni del Nagual definiscono l’esperienza del vero viaggio,
quello dell’uscita da sé, quello che sempre deve compiere l’eroe
di ogni fiaba.
Storie
fantastiche che sembrano giungerci da una lontananza abissale, al di
là di oceani di spazio e di tempo, eppure attualissime perché
capaci di parlare ancora al nostro cuore.
1tratto
da Luigi Dal Cin, I sogni del Serpente Piumato: le fiabe dal
Messico, saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini
della Fantasia – 31a Mostra Internazionale d’Illustrazione per
l’Infanzia’, ottobre 2013
2tratto
da ‘Il Serpente Piumato’, Luigi Dal Cin, I sogni del Serpente
Piumato – Fiabe e leggende dal Messico, Franco Cosimo Panini
Editore, 2013 e da Luigi Dal Cin, La Calaca Llora y la Serpiente
Sueña – Cuentos y leyendas de México, SM de Ediciones, 2013
4si
veda ad es. ‘Le farfalle’ in I sogni del Serpente Piumato...
op. cit.
6si
veda ‘Il sogno degli dei’ in I sogni del Serpente Piumato...
op. cit.
7si
veda ‘Il Sole innamorato della Luna’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.
8si
veda ‘Le piume del pipistrello’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.
9si
veda ‘Il giaguaro vanitoso’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.
10si
veda ‘Il volo delle idee’ in I sogni del Serpente Piumato...
op. cit.
11si
veda ‘L’Arciere del Sole’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.
12si
veda ‘I due pacchetti misteriosi’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.
13si
veda ‘Il picchio e il mais’ in I sogni del Serpente
Piumato... op. cit.