lunedì 3 settembre 2018

Le fiabe che oltrepassano i confini # 9 - I sogni del Serpente Piumato: fiabe e leggende dal Messico

9. I sogni del Serpente Piumato: fiabe e leggende dal Messico1

Tanto tempo fa, una piuma verde brillante cadde dal cielo e si posò sul grembo della dea della Terra che così partorì un figlio cui fu dato il nome di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato.
Il suo nome infatti derivava da ‘quetzal’, lo spettacolare uccello dalla lunga coda, rosso sul petto ma per il resto verde brillante con riflessi blu, e da ‘coatl’ che significa serpente.
E proprio come diceva il suo nome, Quetzalcoatl univa in sé le qualità forti della terra e quelle leggere del cielo, ciò che striscia come il serpente e ciò che vola come il quetzal.
Quetzalcoatl si fece crescere la barba e si dimostrò così curioso che in breve arrivò a conoscere ogni segreto, e divenne simile agli dei. Trascorreva le sue giornate, in meditazione, nelle quattro case che si era costruito lungo le quattro direzioni del mondo: una fatta di pietre preziose verdi, una rivestita di conchiglie bianche, la terza di conchiglie rosse, e l’ultima coperta di meravigliose piume di quetzal.2

Incuneato tra due mari, il Messico è una singolare tessitura di elementi multiformi: oceani e penisole, paludi e vulcani, monti e laghi, distese desertiche e grandi città, fitte foreste e fertili valli. Abitate già 20.000 anni fa, queste terre diedero vita a splendide civiltà. Poi arrivarono i conquistadores di Cortés e, con loro, la distruzione.
Quando nell’agosto del 1519 giunse all’orecchio dell’imperatore mexicas Motecuhzoma la notizia dell’arrivo dal mare di misteriosi uomini bianchi barbuti che sapevano cavalcare animali come ‘grandi cervi’, pensò subito si trattasse del profetizzato ritorno di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, perché otto erano stati i presagi che l’avevano annunciato.
I popoli del Messico avevano allora già costruito grandi città governate con sistemi amministrativi complessi, facevano uso di raffinati metodi di scrittura, avevano prodotto altissime forme di poesia, musica, danza, architettura, scultura, arte in generale, conoscevano il cielo e i suoi segreti, e li rivelavano nella compilazione di articolati calendari. Ma ciò che attirò i primi europei non fu la loro straordinaria cultura.
Fu semplicemente il loro oro.
Nel 1521 la capitale mexicas Tenochtitlán (situata dove oggi sorge Città del Messico) che contava allora 300.000 abitanti, fu conquistata e saccheggiata: ‘Ci apparve – racconta Bernal Díaz del Castillo, il principale cronista spagnolo della conquista del Messico – come quelle fiabe incantate che si raccontano [...]; delle sue torri, delle sue immense piramidi, degli edifici nell’acqua in muratura, alcuni dei nostri soldati dissero che ciò che avevano visto era certamente un sogno’3. Un sogno di straordinaria bellezza dissolto nell’incubo. Fu un’alba di sangue e di saccheggi, in cui solo una minima parte di quei preziosissimi tesori fu conservata o descritta per i posteri.
Eppure, l’anno prima, il grande artista Albrecht Dürer, esaminando le opere mexicas inviate da Cortés a re Carlo V, aveva esclamato: ‘In vita mia non ho mai visto niente che mi abbia rallegrato tanto il cuore quanto questi oggetti: vi ho visto infatti meravigliose opere d’arte e mi sono stupito dell’acuto ingegno degli uomini di quelle terre straniere’.
È immediato per noi condannare la massiccia distruzione delle opere d’arte avvenuta ai tempi della conquista spagnola, ma l’annientamento delle conoscenze, della scrittura, delle tradizioni, delle credenze locali seguito ai massacri, alle malattie, alla schiavitù produsse una perdita culturale ancora più profonda.
Eppure quella cultura non è morta, afferma con orgoglio un qualsiasi messicano, perché la conquista spagnola non ha saputo strapparne le radici, e così la mitologia, le leggende, le fiabe continuano ancora a sopravvivere nella tradizione orale dei discendenti dei Mexicas, dei Maya e degli altri popoli nativi del Messico.
Esistono, in realtà, anche fonti scritte: i popoli nativi sapevano scrivere e documentarono la propria cultura con vari mezzi: i manoscritti, i vasi dipinti, le incisioni su legno e su pietra. E ugualmente importanti sono le immagini che li accompagnano (le antiche illustrazioni!). Purtroppo, dei manoscritti preispanici – i cosiddetti codici – ne sono sopravvissuti solo diciotto. Ma per fortuna esistono il Popol Vuh (o ‘Libro del Consiglio’) e gli scritti degli ordini religiosi che, spesso – a differenza dei conquistadores – invece di denigrare la cultura nativa, la ammiravano per le mete elevate che aveva raggiunto: grazie a Bernardino de Sahagún, a Bartolomé de las Casas e agli altri cronisti del XVI secolo si ha così un’eccellente documentazione sui miti accompagnata, anche, da elogi alla raffinatezza culturale delle civiltà preispaniche.
Il Popol Vuh, invece, ha un’origine differente. È stato scritto da un anonimo copista maya qualche decennio dopo l’arrivo degli spagnoli per conservare nella sua lingua le tradizioni del suo popolo, e rappresenta ad oggi il testo più significativo e più alto della produzione letteraria preispanica dell’intero continente americano. Vi si trova espressa, con un potente linguaggio lirico, un’appassionata riflessione sul significato dell’esistenza umana: nelle sue tre sezioni sono riportate le narrazioni sull’origine del cosmo, le interpretazioni mitiche dello scontro tra forze negative e positive, le informazioni sull’organizzazione politica e sociale dello stato dei Maya.
È così che le esuberanti figure originarie di questi antichi popoli sono tutte ancora vive nei racconti della tradizione: elementi culturali multiformi di grande suggestione che si intrecciano – anch’essi, come gli aspetti molteplici del Messico – con le culture successive a noi più note.
È così che oggi, in alcune fiabe e leggende messicane, si mescolano le figure simboliche dei nativi con, ad esempio, le figure della religione cristiana – la Vergine Maria o qualche santo – associate a concetti propri dell’universo religioso indigeno: la Madre Terra, la fertilità, la pioggia, la rinascita, la morte, l’anima individuale4, ecc.
A tal proposito, la commistione delle narrazioni di origine preispanica con i santi cattolici o con avvenimenti storici anche recenti non è indice di una tradizione mitica decadente o addirittura morente: è invece la prova della vitalità di una straordinaria tradizione orale, in grado di adeguarsi ai cambiamenti di un mondo in continua evoluzione. Avvicinarsi a queste simboliche associazioni, allora, è come affacciarsi all’orlo di uno sconosciuto mondo fatto di figure, credenze, simboli e forme del passato che irresistibilmente spingono per affiorare, magari in una festa popolare o in un mercato, magari come oggetti di culto millenario su una bancarella moderna, seminascosti tra giocattoli di plastica e frutta esotica colorata.
Ma veniamo agli elementi fondamentali delle narrazioni native.
Nel 1524, meno di tre anni dalla conquista del Messico, un gruppo di saggi mexicas parlò con i primi missionari francescani. Le loro frasi sono riportate da Bernardino de Sahagún e rappresentano il primo scambio di idee tra due mondi sviluppatisi in modo indipendente per migliaia di anni: ‘Voi dite che non conosciamo il Signore della vicinanza e dell’unione, cui appartengono i cieli e la terra. Dite che i nostri dei non sono veri. Queste sono per noi parole nuove, che ci rattristano e ci turbano. I nostri antenati, vissuti prima di noi sulla terra, non erano abituati a parlarci così. Da loro abbiamo ereditato il nostro sistema di vita, che essi credevano vero; essi trattavano con riverenza e onoravano i nostri dei’5.
In realtà i punti in comune erano molto più profondi di quelli che in quel momento apparivano. Per i Mexicas, infatti, non si può parlare di una vera religione politeista: in ogni narrazione mitica è sempre presente un’entità spirituale spesso chiamata il ‘Datore della Vita’, che abita la parte più alta dei cieli e rappresenta il principio supremo di una realtà metafisica e spirituale che tutto regge e governa, il ‘Signore della vicinanza e dell’unione’, Ometeotl. Alla luce di questa unica divinità che tutto sovrintende, gli altri dei minori – che hanno dato luogo all’errata definizione di religione politeistica – appaiono più come principi simbolici che riflettono l’energia dei fenomeni naturali6: luce e buio, giorno e notte, vita e morte, fuoco e acqua, sole e luna, che, osservati nella natura considerata sacra, erano oggetto di culto, ma sempre derivanti dal Datore della Vita. Ometeotl è inoltre un dio duale, che incarna sia il principio creativo femminile che quello maschile, e genera quattro figli: Tezcatlipoca rosso, Tezcatlipoca nero, Quetzalcoatl, il Serpente Piumato, e Huitzilopochtli, il Colibrì del Sud, rappresentanti simbolicamente le energie primordiali che generano il cosmo, le direzioni dell’universo, gli elementi della natura, e sono legate al simbolismo dei colori (i colori delle quattro case del Serpente Piumato).
Quetzalcoatl e Tezcatlipoca nero svolgono un ruolo fondamentale nella mitologia mexicas della creazione: Quetzalcoatl è identificato con l’acqua, con la fertilità e, per estensione simbolica, con la vita, l’armonia, l’equilibrio. È il creatore della quinta umanità (la nostra) dopo essere sceso agli inferi. A seguito della caduta del cielo, con il diluvio, fu uno di quelli che lo risollevarono e lo sostennero. Abbandonò la sua terra e promise di tornare dall’oriente, simboleggiando in tal modo il percorso del sole. È l’eroe fondatore della cultura mexica: a lui sono infatti attribuite tutte le massime conoscenze raggiunte allora sia in campo filosofico che scientifico. Trasformato in divinità attraverso il mito, diventa il simbolo solare (dunque luminoso) della Conoscenza, profondo modello dell’Uomo archetipico. Unisce in sé simbolicamente la forza della terra (serpente) con le energie del cielo (Quetzal) e, quindi, il mondo materiale con il mondo spirituale. Rispecchia, in una parola, l’ideale di divinizzazione dell’uomo, l’uomo illuminato.
Tezcatlipoca rappresenta invece il conflitto: è un dio terribile, il cui nome significa ‘specchio fumante’ – alludendo al nero vetro di ossidiana derivante dalla lava quando solidifica in fretta a contatto con l’acqua – ma viene chiamato spesso anche ‘l’Avversario’ o ‘Colui di cui siamo schiavi’.
E poi ci sono tutte le altre divinità minori. Nella mitologia maya si tratta quasi sempre di esseri imperfetti, spesso molto generosi, ma a volte anche impacciati7, capricciosi, bisognosi delle preghiere e delle cure dell’uomo per sopravvivere, come spesso racconta il Popol Vuh: divinità minori specchio, quindi, dell’intera variegata umanità.
Gli dei minori partecipano alla creazione delle differenti specie animali, ciascuna con le proprie caratteristiche, assistendo spesso a recriminazioni da parte dell’animale insoddisfatto, con la necessità di trovare soluzioni di ripiego8, punizioni9, espedienti d’emergenza dai risultati inaspettati, anche per le divinità stesse che li hanno messi in atto10. Queste narrazioni mitiche, che si situano accanto al genere favolistico, sono frequenti in tutte le civiltà del mondo e mostrano, anche quando la scena del racconto appartiene tutta agli animali, come il protagonista rimanga sempre l’uomo. Agli animali vengono dati attributi umani: gli animali sono capaci di sentire, parlare, pensare come gli uomini. Ogni animale è antropomorfizzato e porta un nome proprio, conserva il proprio carattere naturale assumendo allo stesso tempo un preciso ruolo nella società animale che diviene specchio di quella umana. Le storie con protagonisti animali presentano così una duplice prospettiva: da una parte ci si propone di spiegare caratteristiche e abitudini dell’animale, dall’altra di spiegare i vizi dell’uomo attraverso i comportamenti animali, con lo scopo di fornire una lezione morale o di ironizzare su alcune abitudini tipicamente umane. Queste narrazioni, raccontando degli animali, trasmettono così una concezione della vita, parlano dei piccoli, degli oppressi, dicono l’ingiustizia, la prepotenza, il coraggio, l’amore, la generosità: perché il racconto che proviene da un’antica tradizione non si limita mai ad accumulare aneddoti più o meno curiosi.
E dopo la creazione del mondo e degli animali, il diluvio, la rigenerazione della nostra umanità: ecco il mito mexicas (ma tale narrazione è una costante anche di altri popoli nativi del Messico11) del Grande Pellegrinaggio alla ricerca della terra promessa, dove fondare una città dal grande futuro. Intorno a tale mito, certamente legato ad una realtà storica, nacquero molti altri episodi che narrano sia i vari aspetti della vita sociale e rituale dei Mexicas, sia il rapporto con gli altri popoli con cui essi vennero a contatto12.
Legata alla vita delle comunità native vi è poi una numerosa serie di leggende che narrano, con infinite varianti, della scoperta del mais, elemento indispensabile per la sopravvivenza di quei popoli13, oppure racconti di principi e principesse che sfuggono al protocollo di corte che impone loro matrimoni combinati, per cercare il vero amore lontano dai palazzi del potere.
Non mancano poi i racconti incentrati sulla figura del Nagual, lo sciamano14, capace di trasformarsi, attraverso pratiche legate all’estasi e al sogno, in un animale spesso altamente simbolico, come l’aquila o il giaguaro, e di poter viaggiare liberamente per poi riassumere le proprie sembianze.
E come i sogni degli dei creano quanto esiste15, così i sogni del Nagual definiscono l’esperienza del vero viaggio, quello dell’uscita da sé, quello che sempre deve compiere l’eroe di ogni fiaba.
Storie fantastiche che sembrano giungerci da una lontananza abissale, al di là di oceani di spazio e di tempo, eppure attualissime perché capaci di parlare ancora al nostro cuore.


1tratto da Luigi Dal Cin, I sogni del Serpente Piumato: le fiabe dal Messico, saggio introduttivo al volume catalogo ‘Le Immagini della Fantasia – 31a Mostra Internazionale d’Illustrazione per l’Infanzia’, ottobre 2013
2tratto da ‘Il Serpente Piumato’, Luigi Dal Cin, I sogni del Serpente Piumato – Fiabe e leggende dal Messico, Franco Cosimo Panini Editore, 2013 e da Luigi Dal Cin, La Calaca Llora y la Serpiente Sueña – Cuentos y leyendas de México, SM de Ediciones, 2013
3Bernal Díaz del Castillo, Historia Verdadera de la Conquista de la Nueva España, 1632.
4si veda ad es. ‘Le farfalle’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
5Bernardino de Sahagún, Coloquios con los doce, 1524.
6si veda ‘Il sogno degli dei’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
7si veda ‘Il Sole innamorato della Luna’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
8si veda ‘Le piume del pipistrello’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
9si veda ‘Il giaguaro vanitoso’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
10si veda ‘Il volo delle idee’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
11si veda ‘L’Arciere del Sole’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
12si veda ‘I due pacchetti misteriosi’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
13si veda ‘Il picchio e il mais’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
14si veda ‘Il dono del cervo’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.
15si veda ‘Il sogno degli dei’ in I sogni del Serpente Piumato... op. cit.